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neralessa. «Volevano forzare la porta dei Dolcemare, ve-
nire a fare il maus con noi!».
«Oh!» fece il conte Minciaki, stupito e assieme con-
tento di avere sciolto finalmente l enigma. Poi si rivolse
attraverso la tavola alla signora Dolcemare. «Ve lo avevo
detto, cara signora, avete avuto la debolezza di riceverle
una volta in casa vostra..».
«Che discorsi!» replicò la signora Dolcemare. «Il po-
vero Vianelli era morto da pochi giorni ... Non è mica
una buona ragione per diventare cu ... oh scusate! sede-
re e camicia».
Nivasio non vedeva la faccia di monsignor Fuagrà,
ma udí la sua bella voce baritonale.
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«La Chiesa» disse il prelato «accoglie indistintamente
la vergine e la peccatrice».
«Ma io, monsignore,» ribatté con vivacità la signora
Dolcemare «io non sono la Chiesa». E passò uno sguardo
circolare sulla guarnizione umana in torno alla tavola, a
raccogliere l effetto di questa sua battuta da Talleyrand.
«Ma naturale, ma chère,» rincalzò la contessa Corilo-
psis spollinandosi tutta «come si fa a ricevere certa gen-
te? Non è gente de notre monde!».
Nivasio udí un piccolo tonfo accanto a sé e si voltò:
Messario si era levato in piedi e il bignè che stava per
cacciarsi in bocca era caduto ai piedi del divano, era
esploso e la crema si spandeva sul tappeto.
Nivasio non udí piú quello che si diceva intorno alla
tavola del maus. La sua attenzione era assorbita dalla
strana espressione di Messario. Presente in corpo nel sa-
lotto di casa Dolcemare, il pensiero di Messario aveva
raggiunto un ricordo lontanissimo, che gli accelerava il
palpito delle mascelle. Nivasio udiva il fischio della re-
spirazione laterale del suo amico e ne soffriva, perché
sapeva che quando la respirazione laterale di Messario
sibilava, era segno che Messario stava male.
Messario ritornò in sé e Nivasio lo udí mormorare:
«E io, qui, sono forse nel  mio mondo?».
Dal sonno della perplessità, Messario si risvegliò nel
presente. Vide Nivasio e gli afferrò la mano con straor-
dinaria violenza.
«Vieni!» gli dissi «andiamo al mare»
Nivasio riluttava. «Uscire a quest ora... Se se ne ac-
corgono?».
Messario toccò la corda giusta: «Non hai fiducia nel
tuo amico?».
Nivasio non determinò se i giocatori avevano ripreso
il gioco o se parlavano ancora dell incidente Vianelli, ma
vide che nessuno guardava dalla loro parte. Uscirono
piano piano di casa, e Nivasio per precauzione lasciò il
portone accostato.
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Il cielo era pieno di stelle. Nivasio guardò il cielo e di
colpo la situazione mutò. La terra era deserta sotto lo
stellato e addormentata. Finiva la notte nell imminenza
dell aurora. Tante volte Nivasio aveva veduto questo
medesimo cielo e allora pure in compagnia di Messario.
Quando partivano nel buio e nel freddo dell avantigior-
no per la pesca delle ombrine, i grandi pesci bianchi che
si pescano o al largo nella prima luce del giorno, o di
notte al lume delle torce e sbattendo sul mare dei barat-
toli di latta per svegliarli; e talvolta questi pesci fortissi-
mi spezzano la lenza, e tirati nella barca si torcono come
atleti ignudi, e bisogna finirli a mazzate.
Allo svolto di via Libertà la situazione mutò una volta
ancora e ritornò al punto di partenza. Il lungomare La-
narà splendeva di luci. I tavolini del Lubié e dello Splen-
did, tra i quali spiccavano quelli piú cospicui del Mon-
Plaisir, brulicavano di divoratori di gelati e di assorbitori
di granite. Questi, curvi sui lunghi bicchieri di smeraldo
o di rubino, succhiavano le cannucce come sonatori di
oboe. Grasse signore sudate tiravano fuori brevi e rosse
lingue di gatte, leccavano il cucchiaino piatto del mante-
cato, le manine poggiate sul petto come su una piccola
mensola. I camerieri volavano fra i tavolini come rondini,
alto reggendo il vassoio sulla testa. Nel canale fra i tavoli-
ni, falangi di ragazze passavano legate per i gomiti, vesti-
te da libellule, corpetti di tulle e alette di garza. Sul palco
dell orchestrina, il petto sbarrato in obliquo da un largo
nastro azzurro sul quale era scritto in lettere d oro
«Mon-Plaisir», il manipolo delle dame viennesi, ondeg-
giando tutte assieme come una barcata di veleggiatrici,
cullavano ad arcate lunghe un valzer di Waldteufel.
Nivasio temeva che qualcuno in quella folla ricono-
scesse in lui il figlio del commendatore Visanio, e si na-
scondeva dietro Messario. Questi lo teneva stretto per la
mano e via via accelerava l andatura, scegliendo il passo
tra la gente, tagliando la calca in obliquo, camminando
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da gambero veloce, spinto da una idea prepotente che
non ammetteva temporeggiamenti. I fuochi di posizione
di un piroscafo brillavano al largo.
Uscirono al fine dalle luci e dalla gente, e nel punto
stesso terminavano i lastroni del lungomare. Nulla argi-
nava quindi innanzi il movimento del mare, calme le on-
de notturne venivano a stendersi quanto erano lunghe
sulla rena, davano intermittentemente un sibilo di saliva
sul ferro caldo. Ora anche il fiato del mare spande libero
il suo lezzo verde, che per un certo tratto si aggrava di
un fetore di «cose» umane.
Che andava cercando Messario? Sembrava che la riva
esaminata attentamente non fosse di suo gusto. D un
tratto si fermò; traversò l arenile tirandosi dietro Nivasio
per mano, fino alla frangia bianca scritta dalla spuma
sulla sabbia; ma là presso erano stese alcune reti gravate
di sassi, e Messario se ne ritornò indietro come per scan-
sare quei segni dell uomo.
Nivasio non s arrischiava ancora a pensarlo esplicita-
mente, ma sentiva Messario lontano e mutato. Piú avan-
ti una massa scogliosa faceva ostacolo all ingresso del
mare. Aveva veramente pensato «ingresso»? Nivasio
non osò confessarselo.
Di là dalla scogliera la riva era deserta e primordiale,
simile alla riva di un mare dell epoca secondaria, e la
sabbia dichinava in dolce pendio. Messario cercò ove il
pendio fosse anche piú dolce, non si fermò al limite del-
l arenile, ma continuò imperterrito a camminare dentro
l acqua.
«Voglio tornare a casa» disse Nivasio come in un la-
mento.
Messario non si voltò neppure. La sua mano intorno al
polso di Nivasio era come una manetta calda. La morte si
affacciò alla mente di Nivasio, nera e fitta di memorie.
Perché Messario voleva ucciderlo? L acqua gli salí sopra
il naso, e Nivasio chiuse gli occhi. Quando li riaprí vide
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Messario che piú alto di lui chinava a sua volta il capo
sotto l acqua e faceva un gesto come per tirarsi il mare 
come per tirarsi la coperta sopra la testa per dormire.
Avvenne la felice soluzione. Messario si sgrullò come
un cane che esce dall acqua, lui che si sgrullava perché
usciva dalla terra. La gioia lo ondulava come un alga. Si
poneva orizzontale quando supino e quando resupino,
si rivoltolava come un abbacchio allo spiedo, si rovescia-
va ora a taglio e ora in obliquo. E tale bene spirava
l amico ritornato amico, che Nivasio, benché il suo pol-
so ormai fosse libero, non pensò di fuggire, di tornarse-
ne a casa, di uscire da quell elemento estraneo nel quale
tuttavia si trovava meno spaesato di quanto avesse pen-
sato. Era sí come vivere dentro una gelatina piú liquida,
ma in compenso c era quel molle sostegno onniparte,
quel sentimento di comunque non rischiare di cadere,
quell attrazione che si esercitava nonché dal basso ma
dall alto pure e lateralmente.
«E ora,» disse Messario come invitando a una gita in
campagna «ora non perdiamo tempo: mi tarda di fare
una improvvisata ai miei».
I «suoi»?... Tutto era ormai cosí naturale, che Nivasio [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]
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